L’actus humanus, che è sempre a fondamento dell’atto giuridico, si compone di un aspetto volitivo e di un aspetto cognitivo e solo la sussistenza di entrambi consente di ravvisare un atto libero. Tra i vizi del consenso la tradizione canonistica ha sempre ravvisato il metus gravis, inteso quale inflizione di una grave minaccia da parte di un soggetto agente nei confronti di un soggetto passivo, per liberarsi dalla quale questi si decide a fare qualcosa che non vorrebbe, ma che fa al solo scopo di evitare un grave danno. Un tale comportamento tenuto ex metu è da considerarsi volontario? O si tratta piuttosto di un atto posto invalidamente? In altre parole: quale rilevanza giuridica può avere un comportamento tenuto in presenza di tali minacce? Inoltre: tale vizio del consenso è di diritto naturale o è più semplicemente riconducibile ad un disposto di diritto ecclesiastico?
La tradizione giuridica della Chiesa ha assunto in merito posizioni differenti, pur entro un’impostazione unitaria, proponendo soluzioni diversificate a secondo degli ambiti considerati ed ha circoscritto entro parametri ben definiti a quali condizioni tale consenso potesse essere considerato come viziato.
[Seconda edizione riveduta, aggiornata e ampliata]
Autori e Curatori
Andrea D’Auria, sacerdote della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, di cui è anche Procuratore Generale, è professore ordinario nella Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Urbaniana, nonché professore invitato al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su Matrimonio e Famiglia nelle sezioni di Roma e Washington. È inoltre consultore della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Tra i suoi scritti, per la UUP: Inganno, frode, deliberazione. Il dolo nel Codice di Diritto Canonico (2004); Liberta del fedele e scelta della vocazione (2012); Le Norme generali, con Velasio De Paolis (2014).