L'autore intende confutare alcuni presupposti ritenuti falsi e responsabili della cattiva impostazione del problema della libertà del volere, in particolare: che essa sia un attributo essenziale, presente 'in atto' necessariamente in ogni uomo; che solo un atto totalmente spirituale possa essere libero; che, per poter essere affermata, la libertà del volere deve essere oggetto di una conoscenza che escluda ogni elemento soggettivo e di una dimostrazione strettamente razionale. Dopo aver presentato, nella prima parte, una storia schematica della libertà del volere e sviluppato, nella seconda, la critica degli errati presupposti, l'autore sostiene, nella terza parte, l'idea che la libertà del volere vada piuttosto intesa come possibilità che ogni uomo è chiamato a rendere attuale rimandando quindi alla pienezza delle sue espressioni e dei suoi comportamenti responsabili, giustificando infine, nell'ultima parte, la sua proposta e indicandone i vantaggi.