A guardare i fatti che attraversano il quotidiano, appare un eccesso di ingenuità parlare di non-violenza e di accoglienza dell’altro. Forse, può esprimere un desiderio inconscio che non si allinea realisticamente alle preoccupazioni contemporanee. La scena è dominata da forme di fondamentalismi che lasciano intravedere la tentazione di risolvere l’incontro tra culture con esempi di forza e di potere. Lo scontro globale prevale sulla possibilità di ricreare spazi di convivenza e l’innalzamento di muri e barriere è segno di reazioni di latente o palese intolleranza. Sono possibili altre vie, quali il riconoscimento dell’altro e il dialogo? Ha senso puntare su progetti educativi che orientino all’interculturalità? Può il dialogo interculturale essere una risorsa perché allo scontro si sostituisca la passione della conoscenza dell’altro?